Succede che tra una normativa di chiusura e l’altra degli spazi culturali e spettacolari, qualcosa si riesca pure ad organizzare e a vedere. È successo in Calabria, per il festival “Primavera dei teatri”. Ci è sembrato interessante chiedere a Claudio Facchinelli, che ha seguito il festival di Castrovillari, alcune note sugli spettacoli che gli son sembrati più interessanti per la tematica, le contaminazioni e le forme spettacolari. Un modo anche questo per affacciarsi, curiosi e distanti, sul panorama della produzione teatrale di alcuni gruppi e compagnie, nell’anno della pandemia.
Teatro per intervalla pandemiae
A dispetto delle limitazioni imposte dalla situazione sanitaria, poco prima che le attività teatrali venissero nuovamente bandite, Dario De Luca, Saverio La Ruina e Settimio Pisano, anima una e trina da oltre vent’anni di Primavera dei teatri, sono riusciti a mettere insieme una fioritura ottobrina, che nulla ha avuto da invidiare alle precedenti, venti edizioni, sia nella qualità degli spettacoli, sia nella ricchezza delle iniziative culturali parallele: incontri, laboratori, mostre, installazioni. Di queste, la più appariscente è stata Alla luce dei fatti. Fatti di luce, che ha letteralmente illuminato e animato ogni sera, dal tramonto alla mezzanotte, le facciate di alcuni edifici topici di Castrovillari (il Palazzo di Città, la Cattedrale, l’Ospedale, la sede settecentesca del Liceo, il Castello Aragonese): un progetto di Giancarlo Cauteruccio – regista scenografo, drammaturgo, attore, ma qui soprattutto maestro di luci – realizzato con la complice collaborazione del musicista Franco De Franco.
- Alla luce dei fatti. Fatti di luce – foto di Angelo Maggio
- Alla luce dei fatti. Fatti di luce – foto di Angelo Maggio
- Alla luce dei fatti. Fatti di luce – foto di Angelo Maggio
Fra gli spettacoli, Stay hungry, che poteva rischiare di risolversi in una nobile ma scontata perorazione sulla fame del mondo, rivela invece un sorprendente spessore drammaturgico. La parola si fa carne e l’autenticità del racconto in prima persona di Angelo Campolo diventa una bruciante denuncia della colpevole impotenza, o dell’incapacità, da parte della cosiddetta società civile – cioè di noi tutti – di intervenire nella sofferenza endemica del Sud del mondo.
- Stay Hungry – foto di Angelo Maggio
- Stay Hungry – foto di Angelo Maggio
- Stay Hungry – foto di Angelo Maggio
L’impegno politico e sociale (un’istanza da sempre presente negli appuntamenti di Primavera dei teatri) emerge anche in Mario e Shaleh, l’ultima produzione di Scena Verticale su testo di Saverio La Ruina, in scena assieme all’efficace Chadli Aloui, di origini magrebine. Si tratta di una parabola sulla incompatibilità di etnie culturali diverse, sul confronto fra un cristiano e un musulmano, cui tocca di condividere la medesima tenda a seguito di un terremoto. La diffidenza preconcetta e stizzosa del primo e la ferma, rigorosa adesione ai principi religiosi dell’altro si scontrano, anche a colpi di versetti tratti dai libri sacri, il Corano e la Bibbia, che si scoprono però meno divergenti di quanto si crederebbe.
- Mario e Shaleh – foto di Angelo Maggio
- Mario e Shaleh – foto di Angelo Maggio
- Mario e Shaleh – foto di Angelo Maggio
Anche a La notte di Antigone, di Eco di fondo, è sotteso un impegno civile nella rivisitazione del mito di Antigone proiettato su una figura tratta dalla cronaca recente: Ilaria Cucchi. Un’operazione che non ha nulla di pretestuoso, ma ci aiuta a leggere più in profondità alcuni aspetti della lotta intrapresa con determinazione da una coraggiosa giovane donna nostra contemporanea, che sceglie di sfidare le coperture omertose dell’istituzione, e la volontà stessa della famiglia.
Il testo è focalizzato sulla notte in cui Ilaria (resa con discrezione e sensibilità dalla bravissima Giulia Viana, responsabile della drammaturgia, assieme al regista Giacomo Ferraù), combattuta fra pulsioni di segno posto, prende la sua decisione. Lo spettacolo ci restituisce, con i suoi chiaroscuri, la figura di Maurizio, con brevi quadri della sua vita in famiglia, attraverso intriganti giochi di ombre. Un sudario, che sembra rifiutarsi di coprire il cadavere, come trascinato da un vento di verità, assume un trasparente, inquietante valore simbolico: un semplice, quasi artigianale espediente di teatro, la cui essenza, come ci dice in modo geniale Angelo Maria Ripellino, è “trucco e anima”.
- La notte di Antigone – foto di Angelo Maggio
- La notte di Antigone – foto di Angelo Maggio
- La notte di Antigone – foto di Angelo Maggio
Dove invece il linguaggio teatrale si espande, adottando in modo quasi funambolico le più moderne e avanzate tecnologie, è con The mountain. Il gruppo catalano Agrupación Señor Serrano percorre il suo personale itinerario espressivo che utilizza riprese video di modellini minuscoli, qui addirittura di un drone che sorvola e riprende la platea, con la proiezione in tempo reale su schermi mobili. Il pretesto è la rievocazione di una possibile conquista dell’Everest, nel 1924, di uno scalatore inglese, il cui corpo è stato ritrovato pochi anni fa, a poche centinaia di metri dalla vetta. Su questo fatto si innestano riflessioni semiserie di portata epistemologico sulla validità delle notizie ufficiali, sulle bufale, riportando anche spezzoni della beffa perpetrata per radio nel 1938 da Orson Welles sull’invasione degli alieni. Il tutto, esposto in un godibile registro ironico.
- The Mountain – foto di Angelo Maggio
- The Mountain – foto di Angelo Maggio
- The Mountain – foto di Angelo Maggio
Con Trent’anni di grano, le Ariette hanno festeggiato il trentennale della nascita del gruppo con la proposta, nel loro particolarissimo stile, di un’azione-spettacolo rivolta a un pubblico limitato. Stefano stende col mattarello le tigelle su un’asse infarinato, le ripone, coperte sotto una pezza di tela bianca, e Maurizio le inforna un poco alla volta. Intanto Paola, accento romagnolo ed erre moscia, legge un diario dell’ultimo anno del loro lavoro agricolo, impegnato nella semina, la coltivazione, la mietitura, la macinazione del grano per ricavarne la farina per le focaccine che vanno cuocendosi. Una cronaca che sconfina nel personale, nella tenera, commovente rievocazione della storia d’amore e con Stefano. Poi, tutti insieme, mangiamo le tigelle, ancora calde, con il vino e i salumi prodotti alle Ariette, come in un rito collettivo ancestrale. Un salutare antidoto al degrado civile che ci circonda.
- Trent’anni di grano – foto di Angelo Maggio
- Trent’anni di grano – foto di Angelo Maggio
- Trent’anni di grano – foto di Angelo Maggio
Spezzato è il cuore della bellezza della Piccola Compagnia Dammacco attiene alla categoria di un teatro minimalista e privato. Una splendida Serena Balivo, ci restituisce con sorprendente varietà di invenzioni gestuali e vocali le goffe, patetiche schermaglie fra due donnette, vertici di un improbabile triangolo amoroso: un mondo meschino, di gente inutile, come certe figure tragiche e ridicole della grande letteratura russa (penso a Gogol, a Čechov). In scena, come ama fare, il regista Mariano Dammacco si ritaglia un ruolo di contorno: la presenza muta di un altrettanto goffo marito/amante.
- Spezzato è il cuore della bellezza – foto di Angelo Maggio
- Spezzato è il cuore della bellezza – foto di Angelo Maggio
- Spezzato è il cuore della bellezza – foto di Angelo Maggio
In Natura morta di Babilonia il telefono cellulare è il principale strumento di fruizione dell’evento spettacolare. Per quasi un’ora una settantina di persone in penombra sedute in cerchio, sono rimaste chine in silenzio sul proprio telefonino. Dopodiché quattro nerboruti culturisti (due uomini e due donne) entravano in scena esibendo per dieci minuti le loro stupefacenti forme. Fine.
Non credo sia essenziale riportare la grandinata di domande, spesso retoriche, che i settanta leggevano sul piccolissimo schermo. Preferisco domandarmi cosa un alieno in esplorazione del comportamento dei terrestri, avrebbe potuto dedurne. Un’operazione certo originale, anche spiazzante. Forse, la satira feroce di un’abitudine ormai diffusa e pandemica, ove il pubblico è stato inconsapevole attore? La risposta non è immediata, né facile.
- Natura morta – foto di Angelo Maggio
- Natura morta – foto di Angelo Maggio
- Natura morta – foto di Angelo Maggio
Su binari meno ostici si articola Madre, del Teatro delle Albe: una fascinosa, mutua esaltazione di testo, musica e segno grafico. Le parole del poemetto scenico di Marco Martinelli nella lettura di Ermanna Montanari interagiscono con i disegni estemporanei di Stefano Ricci, e lo stridere del suo pastello sul cartone convive col suono del contrabbasso di Daniele Roccato, che percorre un noto tema beethoveniano con fascinosi effetti loop. E poco importa che la stramba vicenda di una madre caduta nel pozzo, restituita in dialetto romagnolo dai personalissimi registri vocali di Ermanna, mantenga una surreale oscurità: l’emozione passa.
Claudio Facchinelli