Il racconto è stato scritto in risposta al bando partito dalla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi e divulgato tramite la pagina I Coronauti de I Maestri di Strada. L’insegnante Massimo Navone, della scuola teatrale milanese, ha lanciato il tema ispirato a “La peste scarlatta” di Jack London e alla nuova contemporaneità delle nostre vite: un virus terribile si abbatte sulla terra, solo pochi riescono a sopravvivere …!
Ri-Ciclo
di Lucia Ciruzzi
I gatti. Nessuno aveva notato i gatti. Sì, li vedevamo, li accarezzavamo quando sinuosi si avvicinavano facendo le fusa, “sono carini” dicevamo, ma … nessuno aveva notato i gatti. Solo in pochi poi si accorsero veramente della loro esistenza. Quei pochi che furono gli unici superstiti.
Mentre tutto andava a rotoli, mentre tutto il sistema basato sui soldi che avevano creato cadeva in pezzi, i numeri dei morti aumentavano e così le case abbandonate che venivano invase, saccheggiate, depredate; mentre tutte le comodità che l’uomo aveva inventato e poi creato per facilitarsi in tutto ciò che faceva diventavano, al contrario di ogni proposito, inutili o si auto distruggevano smascherando tutta la loro fragilità; mentre aumentava la paura, paura di uscire, paura di incontrare, paura di toccare, paura di parlare, persino paura di amare; mentre la disperazione umana diventava lotta per la sopravvivenza, una lotta spietata, violentemente individualista, cieca e sorda di fronte a ogni sprazzo di compassione; allora i gatti erano gli unici a continuare la loro vita come sempre era stata. I gatti non sapevano che il mondo si stava sgretolando, non sapevano che le atrocità prima tacite adesso fossero diventate urlanti. I gatti erano le uniche particelle di quella realtà che seguivano un corso completamente in contrapposizione alla traiettoria che quella vita aveva ormai intrapreso.
Ma qualcuno, a un tratto, li notò.
In quel delirio di paura, in quel tempo grigio, qualcuno si fermò e fermò i suoi pensieri per, semplicemente, osservare…
Nel cortile della casa dove viveva quel qualcuno c’erano molti gatti e loro, a dispetto di tutti, vivevano. Questo lo colpì e lo invitò a fermarsi poggiato al davanzale della finestra … Uscivano, erano gli unici ormai. Si godevano il sole, non erano presi da quel morbo frenetico di agitazione che non ti fa stare mai fermo. Si lavavano, non per gli altri, non perché dovessero uscire, cosa che nessun essere umano faceva più, ma perché gli piaceva farlo, così pareva. Si cibavano di vermi e mosche e qualche foglia, ma sembravano sazi, nessuno che nel miagolare avesse mai rimpianto una carbonara o un bicchiere di vino rosso.
Quel momento di pausa alla finestra divenne un’abitudine. E intanto qualcun altro si accorse di loro, gli unici immuni in quel panorama cittadino. Immuni a questo virus e già a tutti gli altri che già da tempo stavano spingendo la vita verso quella disastrosa inevitabile realtà.
Improvvisamente all’unisono nelle menti di quei pochi che si erano accorti di loro, si accese questo pensiero: “dobbiamo fare come i gatti”!
Alcuni pensarono di essere impazziti, altri si godettero una fragorosa risata all’ascolto di quelle parole che risuonavano nella testa, altri cercarono di coprire quel ronzio o di ignorarlo, ma nessuno ci riuscì a lungo … tutto era inequivocabilmente chiaro!
Non c’era bisogno più di troppo, di tutto quello che ora c’era, di tutto quello che era stato creato. Uno spazio aperto, ampio, dove l’aria fosse “nutriente” davvero; Sole per rinforzarsi; Acqua per bere sì, ma per purificarsi; ciò che la natura offriva e donava per nutrirsi.
Capirono questo, o meglio a un tratto lo sapevano e basta.
Ognuno dal punto in cui viveva, si mise in cammino verso quella terra, non sapevano quale ma ognuno partì lasciandosi guidare da un qualche profondo istinto primitivo.
Giunti, si trovarono con sorpresa tutti lì. E allora seppero che la terra era quella.
Rimasero lì, spensero le menti e si misero in ascolto. Così scoprirono che ciò di cui avevano veramente bisogno non veniva da fuori, ma risiedeva da tempi immemori dentro sé stessi. Una dote che custodivano in quanto figli della Creatrice Madre Terra, e che quindi, sorprendentemente, condividevano con i gatti.
Allora fu facile capirli e vivere come loro facevano, avevano scoperto il segreto, il senso profondo.
Rimasero lì, erano una trentina, e vissero così, vivendo davvero per la prima volta!
Fu così nipote mia, che sopravvivemmo, scoprendoci fratelli dei gatti e non figli dell’industria!
…
La ripresa si allarga e la visuale si espande, l’anziana e la bambina si scoprono a piedi scalzi, alle loro spalle un’immensa terra coltivata rigogliosa, ricca di piante e fiori sullo sfondo centrale, alberi da frutta sulla destra, e sulla sinistra campi di orti a perdita d’occhio fino a mescolarsi con il fiume che scorre sul fondo della scena.
Testimonianza di Eva, superstite della fine del Vecchio Mondo
20 Aprile, anno 5