Qualche anno fa ebbi la ventura di dire due parole durante il pranzo con cui si festeggiava un battesimo. Era l’inizio dell’estate, sulla costa occidentale della Sardegna.
Ricoprivo un ruolo un po’ particolare, nient’affatto istituzionale; anzi, formalmente ero un estraneo. La madre, una cara amica, mi aveva proposto di fare da padrino al bimbo, Federico. Una richiesta per me po’ incongrua: non solo mi professavo ateo ma, per la chiesa, ero considerato con scandalo un pubblico concubino, in quanto sposato solo civilmente, per di più con una donna ebrea.
Avevo tuttavia accettato, pregando tuttavia la madre, ad evitare situazioni imbarazzanti, di parlarne con franchezza al prete. Costui aveva risposto che, essendo il padrino responsabile della educazione religiosa del figlioccio, non potevo svolgere quella funzione.
Un ragionamento di ineccepibile coerenza religiosa, e anche prevedibile; ma che pur mi aveva contrariato, quasi irritato. Avevo quindi preso polemicamente una decisione: “E io ci vengo lo stesso, e faccio il padrino putativo”. E così era stato.
Lungo la spiaggia di Torre Grande avevo avuto modo di spupazzare il piccolotto e, a pranzo, avevo voluto pronunciare un breve discorso, da padrino putativo, che avrei poi messo per iscritto per farlo avere a Federico, quando avesse raggiunto l’età della ragione.
Il suo contenuto mi sembra non estraneo al tema della bellezza che, come asserisce Dostoevskij ne L’idiota, salverà il mondo: Красота спасёт мир (Krasotà spasiòt mir).
Come tale ve lo propongo.
Claudio
Per il giorno del battesimo di Federico
Diversi mesi fa, era il capodanno ebraico, per una strana combinazione mi capitò di avere a cena, a casa mia, tre giovani donne incinte. Era settembre, erano trascorsi pochi giorni dell’attentato delle Torri Gemelle, e ritenni mio dovere di padrone di casa pronunciare qualche parola, per esorcizzare il timore e le ansie che quel fatto aveva proiettato su tutti noi, per respingere la troppo facile considerazione che non fosse quello il momento per fare dei figli. Ma, inevitabilmente, il mio pensiero era corso ad un’altra amica, molto vicina al mio cuore, ad una donna che, di là dal mare, aspettava anch’essa un bambino.
Oggi, che quel bambino è nato ed io sono qui, nella veste un po’ atipica di padrino putativo, ho finalmente l’opportunità di estendere anche a lui, oltre che a Rita e a Fulvio, il mio augurio di allora. In quell’occasione mi erano venute in aiuto le parole di un grande scrittore, che ho molto amato nella mia giovinezza: David Herbert Lawrence. Nel finale del suo libro più famoso, L’amante di lady Chatterley, Lawrence scrive più o meno queste cose: “Tutte le sventure del mondo non sono riuscite a far appassire i fiori, né l’amore delle donne”. L’amore delle donne, in senso soggettivo e oggettivo: l’amore che le donne rivolgono a noi, e quello che noi proviamo per loro. È da quell’amore che nascono i bambini. Anche per questo motivo, partendo dall’immagine di Lawrence, credo vi si possa aggiungere una terza delizia dell’universo: il sorriso dei bambini. Ieri sera, sul lungomare, verso il tramonto, stavo spingendo la carrozzella di Federico. Era la prima volta che lo facevo, anche se le sue vicende mi avevano coinvolto fin quasi dal momento del suo concepimento. Ed osservavo la curiosità con cui, dal fondo della carrozzella, esplorava il mondo, come rivolgeva tutto intorno il suo sguardo, per poi posarlo su di me, e sorridermi. Oltre duemila anni fa Virgilio, mi sembra nella quarta ecloga, si rivolge ad un bambino appena nato dicendo: impara a riconoscere la madre col sorriso. Così stava facendo Federico con me: mi segnalava il suo sentirmi non estraneo col suo buffissimo sorriso, che esprimeva con gli occhi, con la piccolissima bocca e con la lingua, che tirava fuori in una sorta di tenerissimo sberleffo.
Federico, in effetti, viene al modo in una stagione segnata da incertezze e paure. Il mio augurio è che possa crescere e vivere in un mondo più sereno. E se la mamma, il papà, il padrino e la madrina ufficiali, e anche il padrino putativo, sapranno aiutarlo a venir su bene, chissà, forse potrà anche contribuire a renderlo migliore, questo mondo sciagurato che noi adulti gli abbiamo consegnato.
Concludo con i versi di un grande poeta indiano, Rabindranath Tagore, che la mia mamma mi citava quando ero piccolo:
Ogni bimbo che nasce
reca al mondo la lieta novella
che Iddio non si è ancora stancato degli uomini.
Cabras, 29 giugno 2002.
Claudio