Forse indotti dai cascami di un razionalismo e di un positivismo orecchiato, assieme a Dio abbiamo ammazzato un po’ troppo presto anche il rito. Cacciato dalla finestra, il rito rientra per la porta, come un bisogno primario e incoercibile, sotto le specie più svariate: nell’adesione a forme di misticismo estranee alla nostra cultura, ma anche nelle pratiche del consumo collettivo delle droghe (il passaggio della canna o, un tempo, della siringa – che ha la sua origine nel rito pagano dell’emoscambio). Il teatro è rito, non solo per le sue origini storiche (le danze propiziatorie, i Misteri sacri), ma per la sua natura di azione reiterata che si svolge all’interno di un cerchio magico, in un tempo e in uno spazio simbolico. Rappresenta quindi una risposta ideale a quel bisogno. E poi, non dà assuefazione (o almeno, non in forme distruttive come la droga). (CF)