Termine fortunato e confuso per molteplicità di funzioni ad esso attribuite, è originariamente il lavoro di adattamento di un testo non teatrale – epico, poetico, storico o letterario nella accezione più ampia – per farne un materiale utile per la scena. La drammatizzazione è, dunque, il lavoro di strutturazione del testo, di scrittura dei dialoghi, dell’ordinamento delle sequenze d’azione e delle dinamiche tra personaggi. Quando a questo lavoro sul testo e agli inerenti obiettivi cognitivi, si aggiunge quello “espressivo” (il gruppo può recitare il testo preparato, dipingere scene, realizzare i costumi, ecc.), si ha come conseguenza l’equivalenza: drammatizazione = teatro.
La drammatizzazione si collega alla filosofia di fondo delle “scuole nuove” e all’attivismo pedagogico che, in sostanza, nel mettere al centro l’allievo rivoluziona gli obiettivi educativi e la didattica. Compare nei nostri programmi ministeriali del 1955, che dividono la scuola elementare “in cicli”, sotto la premessa della “necessità di muovere dal mondo concreto del fanciullo tutto intuizione, fantasia, sentimento”; ma l’uso che se ne fa è per la maggior parte didattico (la drammatizzazione della storia, ad esempio, ha avuto molto spazio).
Per il previsto coinvolgimento di tutta la classe può essere considerata un passo avanti rispetto alla recita o al saggio; tuttavia è fortemente limitata dai suoi contenuti. Applicata alle materia scolastiche altro non è che teatro didattico; considerata invece come “pausa ricreativa”, sempre su contenuto prefissato dall’adulto (es. una fiaba, un racconto), è più estemporanea e vicina al “gioco drammatico” anche per un certo margine di libertà nell’improvvisazione. E’ questo secondo aspetto che fa la fortuna del termine, ancor oggi molto usato, ma in modo improprio secondo noi, specie se con drammatizzazione si indica un’attività più complessa quale il teatro della scuola. (LP)