Quando il vento improvvisamente
appare fra le cime dei monti
la fronte per prima lo percepisce
e, lo so, si sveglia Mnemosyne
come una sorella, lei, si leva
e tutto ciò che aveva mostra
ma i colori sono mutati
la luce viene da più lontano
e dice: ero riarsa e morivo
datemi un po’ d’acqua fredda
voglio tornare a splendere ora
attraverso voi lo farò
io dirò: davvero sarai benvoluta
e potrai camminare nell’aria
potrai anche bere teneramente
nelle acque chiamate Memoria.
Come non pensare a un ricordo di te, Amico Poeta, se non con questa tua poesia. Una Signora impressionante, dicesti della poesia; costante la tua ricerca delle forme primarie della parola che si fa corpo con Il Tremito o musicale Opera della notte.
E con qualche foto non di Zip Lap Lip né di Scontri generali, quanto del tuo felice attraversamento del teatro, quale drammaturgo col tuo Teatro Vagante e attore camminante nella notte con gli spettatori; quale costruttore di burattini, di oche e di cavalli, quale sognatore di Fantastiche visioni da condividere sempre…
Qualche foto di te formatore e di sodale compagno del teatro dei matti e dei bambini, del tuo impegno civile, del tuo dialogo sull’immortalità con esseri umani terrestri e con altri esseri celesti, del tuo ascolto di lupi e cinghiali, di gorilla quadrumani e marcocavalli e di tante altre bestie parlanti nelle Foreste sorelle. Fino a In Capo al mondo con Lorenzo e Cecilia, con Nane Oca e…. E non si esce di scena, quando ti si può ritrovare in tante opere, Amico Poeta Giuliano. Un saluto, dunque, non un commiato, attraverso la tua voce poetica.
Loredana
Anima
vaga dolendo
per i terreni di un tempo
vede
uccelli incanutiti
è tremendo il ritorno
a volte
come in una rete
ma qua e là
fiori e piccoli animali
mostrano
segnali intorno
lei
se ne diletta
col filo della memoria
rammemora il presente
vigilante e seminato
nomina
riconosce
inventa.
I terreni di un tempo la tengono cara
da sé nutrita nutre ciò che vede
d’ogni nome ascolta la radice rara
se niente è perso l’ansia è consolata.
(Il poeta albero, Einaudi, 1995)
CF. In una messa in scena dei tuoi Cinghiali al limite del bosco, realizzata qualche anno fa da una scuola di Pioltello, ricordo la battuta del cinghiale femmina, detta da una ragazzina di tredici anni, che si rivolge al pubblico tenendo per mano un suo coetaneo:
“Con tutto l’amore che hai per il bosco, le tane, la corteccia degli alberi, e per il mio corpo, in cui tante volte sei entrato – amore mio, tu sei affascinato dagli uomini. Dalle loro luci”.
Mi sembrava importante che questa frase venisse pronunciata da ragazzi, nell’età in cui comincia a delinearsi una consapevolezza della sessualità: esprimeva un senso profondo della natura, ad un tempo lirico e prosaico, così come la battuta del cane che muore:
“Addio bel sole, belle erbe, bei luoghi ove ho cacato annusando. È finita.”
GS. È la forza della poesia, che è uno sguardo non velato. La poesia è la nominazione di ciò che è. Non l’ipocrisia, ma proprio la verità. È quella voce, forse, che conosceva San Francesco. E il viaggio nella natura è il viaggio nella verità della lingua, nella naturalezza. In Ruzante questo tema è molto forte. Parla del “snaturae”, contro le concrezioni letterarie e contro le ipocrisie, e cerca di entrare nella terra, nell’humus, nell’umiltà quindi, che è la forza della vera poesia. È un ciclo profondo, di cui fanno parte anche i respiri dell’uomo, e le parole che sono nei respiri: è un gigantesco respirare, con tante coscienze individualizzate, quella della formica, del fiore – e la nostra.
CF. Siamo agli antipodi della visione di una natura mielosa e antropomorfa, del buonismo di stampo disneyano.
GS. Io cerco di essere ferocemente vero. Recentemente ho pensato, per paradosso, che anche Auschwitz è sacro, nella sua totale negatività. Perché il sacro è mostruoso. Il corpo stesso di Dio, direbbe un antico cristiano, è mostruoso, perché contiene delle sacche di morte, come l’uccisione del figlio, che è un’estensione del sacro.
CF. Tu stai vivendo, per la seconda volta, e ormai con i capelli bianchi, l’esperienza di padre di una bimba di quattro anni, e la stai crescendo in un ambiente, quale quello della città, che concede poco spazio al contatto con la natura.
GS. Non sono nemico della città. La città mi piace. Anche Ruzante parlava di città e campagna come sposo e sposa, come innamorati. Nella città, come nel giardino, vi è una natura costruita dall’uomo. E ci sono città meravigliose, come lo sono le foreste. Noi facciamo tante cose brutte contro la natura, però c’è anche una cultura della progettazione positiva. Tante foreste europee sono fatte ex novo, non sono solo sopravvivenze della foresta antica. Molte, qui in Toscana, sono state inventate dall’uomo, progettate dai Lorena.
Si perde il senso della natura, semmai, quando la velocità e la fretta impediscono il godimento dell’uno e dell’altro luogo. È qui, allora, che ho forse la possibilità di dare un insegnamento a una bambina di quattro anni. Ma prima è lei che me lo dà, con lo stare a guardare con calma, la calma dell’occhio che vede per la prima volta.
Si tratta di un modo di percepire. Teatro con bosco e animali parla del bosco interno all’anima. La natura in cui io metto i cinghiali è il bosco interiore. Ogni persona ha dentro di sé un bosco e gli animali, che sono le figure dell’anima. Se il bosco interno è vivo e in germoglio, allora anche il bosco esterno sarà più sano. Quando ho cominciato a scrivere, mi sono dato questa traccia: compiere un viaggio verso l’interno dell’io e verso il mondo. L’occhio rinnova quotidianamente la nostra forza, se siamo nuovi dentro.
CF. Nel tuo ultimo libro, Il poeta albero, scrivi che camminando si sentono i piedi della poesia. Anni fa, quando ho attraversato a piedi la Lapponia, ho avuto anch’io la sensazione che quel mezzo, quel ritmo, fosse l’unico possibile per aderire, per sentire mie le betulle nane, il muschio, le pietraie, le tundre, i nevai che attraversavo.
GS. Credo che la metrica sia il ritmo che uno ha in corpo, un ritmo che scopre se stesso nell’attività muscolare e respiratoria. Forse le strofe, le stanze, sono degli atti che vengono risvegliati da quella specie di danza estatica che è il camminare. E la consonanza che si stabilisce tra il guardare, il pensare camminando, e il ritmare la poesia, avviene attraverso quella meditazione che è l’attesa ferma del corpo in moto.
Quando mi sono accorto che gli accenti sono collegati ai piedi, e che la voce batte sui piedi, mi si è molto illuminato il senso della poesia, che è poi il senso della parola che si rinnova, che scopre, che inventa. Il camminare diventa l’anima dell’itinerario, e allora fiato, battito dei piedi, battito del cuore e sguardo suggeriscono la metrica.
CF. Tornando ai bambini, mi sembra che tu senta forte e vitale, in loro, la capacità di avvicinare la natura.
GS. La sento fortissima. Però un bambino ti mette sempre in crisi, perché lavora sul simbolico, e fino a cinque, sei anni, vive nel magico, in una specie di altro mondo in cui devi entrare uscendo da te. È un mistero da decifrare, come ogni persona, ogni animale. Ma un bambino è un mistero complesso, perché sta entrando in quella struttura sacra che è il linguaggio. Si addentra miticamente, e ti mostra tutti i miti. Si tratta di rispondere alle sue domande, e di fargliene. È come stare con un dio.
Giuliano Scabia e Claudio Facchinelli
1996, “Segnali di fumo”, rivista della Regione Lombardia
Ogni incontro per Giuliano, anche quando è invitato a parlare di sé e della sua opera, è occasione di performance e di coinvolgimento dei presenti.
Il progetto “Fuori l’autore!” era stato pensato da Assemblea Teatro, di cui facevo parte, all’inizio degli anni ’80, per sollecitare alcuni drammaturghi a scrivere per il teatro della scuola. Giuliano mi inviò “Cinghiali al limite del bosco” che fu messo in scena la prima volta proprio da una prima media di Prato. Ma un testo “è un cavallo libero”, come scrive Scabia sul depliant di quella magica serata al Fabbricone di Prato, dove andarono in scena il lavoro della scuola (21 allievi), quello di Trieste (40 persone) e quello della compagnia (4 attori). L’artista Ugo Nespolo aveva realizzato una serie di “cartoline” per Assemblea Teatro sia per Cinghiali , sia per “Lettere a un lupo”. Questi, con altri testi teatrali, furono pubblicati in “Teatro con bosco e animali”, Einaudi 1987.
L.P.