GIANNI RODARI – La fiaba come luogo di tutte le ipotesi
Rispunta dal passato. Non a caso, proprio ora. Rispunta dal passato e calza a pennello con la celebrazione del suo centenario.
Scritto in occasione dell’incontro di studi “GIANNI RODARI – La fiaba come luogo di tutte le ipotesi”, che si svolse a Napoli nel 2000, trovo giusto ridargli luce e fiato e condividere il pensiero che persiste.
Napoli 14 novembre 2000, Teatro Mercadante
Magazzini di Fine Millennio – Teatro Pubblico Campano
Intervento di Loredana Perissinotto
Riflessioni intorno al teatro di e da Gianni Rodari
La fiaba è un non luogo e ciò che racconta accade in un non tempo – C’era una volta…. Lontano lontano… E cammina cammina…. – altrimenti non sarebbe fiaba, cioè racconto di meraviglie che non sconvolgono il mondo reale o come dice Caillois “ il soprannaturale non spaventa e non sorprende, poiché costituisce la sostanza stessa dell’universo, la sua legge, il su clima”. I protagonisti, spesso, non hanno nome (un nome quotidiano: Carlo, Maria), tuttavia un attributo della persona può diventare un nome proprio come Cappuccetto Rosso. Il patrimonio della fiaba popolare anonima o d’autore è stato un campo di ricerca nel 900 e ogni branca del sapere – antropologia, strutturalismo, semiologia, psicanalisi, psicologia, letteratura, pedagogia, didattica, ecc. – vi si è tuffata, dando interpretazioni interessanti e risposte sulla genesi, struttura, contenuti, varianti, valori, ecc. di questa forma e genere letterario.
Gianni Rodari (1920-1980), all’interno della sua storia umana e del suo impegno pedagogico, della sua visione filosofica e politica, artistica ed estetica, con la sua opera complessiva ha alimentato in modo innovativo e appassionante sia l’approccio alla fiaba della tradizione, sia il suo rinnovamento attraverso l’incanto dell’intreccio e il provocante, sfaccettato uso della parola. La fiaba è fatta di parole – narrate e scritte – che costruiscono del “possibili” verosimili nel teatrino mentale di chi ascolta o legge.
Gianni Rodari è stato un re e un mago di parole: parole in rima, in filastrocca, in poesia, in errore creativo, in binomio fantastico, in gioco, in saggio, in grammatica (della fantasia), in fiaba (a rovescio, a ricalco e in insalata), in teatro. Ed è proprio sul teatro “di e da” Rodari che voglio portare il mio contributo. Del suo teatro ne parla egli stesso in “Come nacque un testo teatrale” (prolusione alla fiaba teatrale in due tempi, “La Storia di tutte le storie”, frutto di un laboratorio coi bambini di La Spezia, spettacolo presentato al Teatro Civico della città, nel marzo 1976).
“ (…) Raramente ho accettato di scrivere o di partecipare alla stesura di copioni per il teatro per ragazzi, o a riduzioni teatrali dei miei racconti o romanzi. Più raramente ancora mi son trovato soddisfatto di quel che avevo contribuito, un po’ controvoglia, a far nascere. (…) Però ho sempre creduto al tempo stesso che il teatro deve nascere a teatro. Scrivere un testo teatrale non è come scrivere una favola. Non basta il vocabolario. Le poche volte che ho disobbedito a questo avvertimento, pretendendo di poter usare il linguaggio del teatro scrivendo a tavolino, mi son trovato malcontento”.
Come nota Pino Boero, nel sesto capitolo del suo libro “Una storia, tante storie. Guida all’opera di Gianni Rodari” (Einaudi, 1992), colpisce nella produzione rodariana “ il rapporto tra impianto teorico-pratico del teatro e l’elaborazione formale”.
In realtà l’atteggiamento “animatoriale” di Rodari, pur in sintonia con l’animazione teatrale e il teatro per ragazzi della fine anni Sessanta e del decennio Settanta, è già presente nelle esperienze maturate negli anni cinquanta, quando scrive copioni per le filodrammatiche dei “Pionieri” del PCI.
E in questo, pur da sinistra, l’azione di Rodari non è dissimile dalla tradizione dell’oratorio cattolico, salesiano o dallo scoutismo di Badem-Powel.
Vi sono alcune analogie teatrali in questi percorsi, al di là del comune intento di divertire o d’essere espressione di una morale pacifista e libertaria, cara al Nostro. Ad esempio: la scelta delle Maschere (le maschere rifluite nel Carnevale e già lontane dalla tipologia originaria della Commedia dell’Arte); la farsa e il teatro dei burattini come genere teatrale, nonché l’adattamento di fiabe conosciute. Alcuni di questi testi sono raccolti in un volume dal titolo programmatico “Gli esami di Arlecchino” (Einaudi 1987), che in appendice riporta lo scritto “Come nacque un testo teatrale”. Alle marionette e ai burattini, poi, egli dedica un capitolo nella “Grammatica della fantasia”:
“ Tre volte in vita mia sono stato burattinaio: da bambino, agendo in un sottoscala che aveva una finestrella fatta apposta per assumere il ruolo di boccascena; da maestro di scuola, per i miei scolari di un paesetto in riva al Lago Maggiore; da uomo fatto, per qualche settimana, con un pubblico di contadini che mi regalavano uova e salsicce. Burattinaio, il più bel mestiere del mondo.
(…) Il linguaggio proprio dei burattini e delle marionette è il movimento. Esse non sono fatte né per i lunghi monologhi, né per i lunghi dialoghi. Però un burattino solo, se ci sa fare, può dialogare per ore con il suo pubblico di bambini, senza stancarsi e senza stancarli.
(…) Le fiabe popolari, e il loro trattamento secondo le tecniche di cui si è parlato, offrono un repertorio praticamente inesauribile. Con un’avvertenza: l’introduzione di un personaggio comico è quasi obbligatoria e si rivela sempre produttiva”.
La poetica dell’autore mi sembra evidente (e vi trovo l’eco delle convinzioni di un altro grande nostro autore-attore, Sergio Tofano), così come è limpida la sua visione della relazione tra teatro e bambini, che si configura aperta e pluralistica, in sintonia con quanto ancor oggi, tra mille difficoltà, ci sforziamo di affermare e consolidare: una pedagogia e una prassi all’insegna del fare e del vedere teatro.
Da parte di chi era attivo professionalmente al tempo, leggere oggi queste righe può forse significare un doloroso bilancio; ma per i più giovani questa “visionarietà” delle cento città e dei cento teatri per bambini, potrebbe essere di sprone:
“Personalmente non ho mai capito (nemmeno) la polemica che ha opposto un’idea di “teatro dei ragazzi” a un’altra di “teatro per i ragazzi”, o l’esclusivismo di chi crede soltanto nell’attività di animazione. Nella vita e nella crescita dei bambini e dei ragazzi c’è posto per una molteplicità di esperienze e c’è bisogno di una grande varietà di stimoli. Dove è possibile, per esempio, perché non portare i bambini anche all’Opera! Io dico sì all’animazione, ma dico sì anche al Barbiere di Siviglia, sì a Goldoni e sì alle marionette, sì al teatro nella scuola e sì anche al teatro-teatro, al luogo dove si va per essere spettatori, protagonisti in quanto spettatori. Ho sempre creduto che, se avessimo in cento città italiane cento teatri per bambini, tante discussioni teoriche sarebbero superate di colpo, nell’interesse dei bambini e del teatro ( Come nacque un testo teatrale, 1976).
Nel capitolo nono del già citato libro di Boero, intitolato “Nel nome di Rodari”, vi sono alcune informazioni circa la messa in scena, la lettura e l’interpretazione di testi vari, soprattutto a partire dagli anni ottanta, dopo la scomparsa dell’autore.
Le informazioni non sono molte (1) e, forse, varrebbe la pena di dedicare alle messe in scena dell’opera rodariana, uno studio adeguato, che non mi risulta ci sia ancora.
Colpisce però un fatto: in generale, gli spettacoli professionali prodotti nel decennio ottanta, non si rifanno ai testi teatrali, né adattano racconti e romanzi, ma elaborano piuttosto materiali linguistici e poetici, pescando nell’immaginario dell’autore e intrecciando variamente spunti, situazioni, personaggi.
A me sembra una messa in pratica teatrale della “Grammatica della fantasia”, assorbitane la lezione, nonché il superamento, forse, della “forma chiusa” del testo teatrale di Rodari, in qualche caso anche datato. Posso parlarne in prima persona, avendo realizzato nel 1982 con Assemblea Teatro di Torino, lo spettacolo “Punto e virgola” (2). Nel depliant di presentazione si dice: “Della produzione rodariana, ci ha interessato l’atmosfera surreale di molte storie e situazioni, l’aspetto magico-assurdo-quotidiano di certi personaggi; l’impasto e l’invenzione linguistica dei dialoghi, delle filastrocche, dei nonsense. Questo abbiamo cercato di trasferire sulla scena, in un non facile scambio tra parola scritta e azione teatrale. Nello spettacolo vi sono due giochi: quello del cercare e quello dell’aspettare. L’oggetto della ricerca e dell’attesa sarà svelato solo alla fine, perché in fondo è casuale, poco importante. Più importante è il gioco che motiva la ricerca e quello che riempie l’attesa. Da questa situazione di “assurdo quotidiano”, si sviluppa l’azione intrecciata dei personaggi che così manifestano il loro carattere, i loro rapporti, i loro sogni, la loro energia creativa, tra dialoghi, racconti, canti, mimo, danza e clownerie”.
Questa tendenza a lavorare dentro e intorno alla produzione rodariana, sembra confermata sfogliando il catalogo ETI 1999-2000, dove troviamo:
“Fantastica da Rodari” dell’AIDA di Verona; “La grammatica della fantasia” del Teatro Eliseo di Roma per la regia di Orlando Forioso; “Gli affari del signor gatto” e “Giovannino perdigiorno” del Centro Teatro Studi di Ragusa; mentre nello spettacolo “Viaggiatori” dell’Arca Azzurra di S. Casciano (Fi), Rodari è citato tra le fonti. Fa eccezione La Baracca di Cosenza che presenta il testo teatrale “Il vestito nuovo dell’imperatore”.
Facendo un passo indietro, è interessante notare come, alla fine degli anni sessanta, il Rodari autore teatrale e di romanzi venga rappresentato soprattutto ad opera di istituzioni teatrali pubbliche:
- “Storie del Re Mida”, Teatro Stabile di Torino, 1967;
- “La torta in cielo”, regia di Roberto Milani col Teatro universitario di Ca’ Foscari, al VII Festival Internazionale del Teatro per Ragazzi de La Biennale di Venezia, ottobre 1969, rappresentazioni al Teatro di Palazzo Grassi di Venezia e al Teatro Corso di Mestre;
- “Capitano c’è un uomo in cielo”, di Maurizio Costanzo e Gianni Rodari, tratto da “Il pianeta degli alberi di Natale”, regia di Ruggero Rimini, musica di Sergio Liberovici; una produzione dei teatri stabili di Bolzano e di Torino, con debutto nel dicembre 1969 al teatro La Pergola di Firenze.
Dice il regista Roberto Milani, nel catalogo del festival di Venezia: “ Dedicarsi al teatro per la gioventù, oggi che il pubblico adulto si va assottigliando sempre più, significa riproporre alle nuove generazioni il fenomeno teatrale quale mezzo insostituibile di formazione e partecipazione spirituale con funzioni educative ben precise. E’ da questa premessa che siamo partiti per la realizzazione de “La torta in cielo”: un testo moderno e fantasioso al medesimo tempo che, a nostro avviso, ben risponde alla spontanea esigenza dei giovani di ritrovarsi in un mondo di fiaba partendo dalla realtà di tutti i giorni. Abbiamo voluto realizzare il testo con massima ingenuità, caricando la recitazione degli attori al limite del macchiettismo, allestendo una scenografia ispirata alla grafica infantile, adoperando vistosi trucchi scenici che lasciano chiaramente intravedere il loro meccanismo. Ci siamo infine proposti di inserire nello spettacolo gli stessi giovani spettatori, in modo da responsabilizzarli direttamente e renderli vivi e partecipi all’azione teatrale.”
Dice Rodari nella sua presentazione che “è meglio fare torte al cioccolato che bombe atomiche”, e racconta anche lo sviluppo e la genesi di questa sua storia coi bambini e la maestra Bigiaretti della scuola elementare del Trullo a Roma (3) e di come in essa “ non si vede, ma ogni capitolo ha per tema e filo conduttore una fiaba popolare”.
L’autore c’era alla rappresentazione a Mestre e chissà se ha colto il segnale di “messaggio ricevuto” in quelle frotte di bambini e bambine ignari della sua presenza, che gli passavano accanto all’uscita, stringendo tutti festanti un pezzo della teatrale torta al polistirolo.
Ci sembra interessante citare anche la “Nota allo spettacolo” di Ruggero Rimini, apparsa nello storico numero di Sipario del 1970, dedicato al teatro dei ragazzi, che pubblica il testo di Maurizio Costanzo e Rodari: “Del testo qui pubblicato è arrivato ben poco sul palcoscenico: il più grande pregio del Rodari scritto resta nell’apertura dei suoi libri, in quel margine di gioco (o happening?) che lascia ai ragazzi, filastrocche da completare, giudizi da dare, ecc. Ora tutto questo “Rodari” era andato un po’ perso: “Capitano c’è un uomo in cielo” era diventata una fiaba moderna come tema, ma pur sempre a struttura chiusa-tradizionale. Io invece ho voluto leggere il testo in chiave aperta, di compartecipazione attore-pubblico allo spettacolo, inserendo filastrocche e canzoni da cantare insieme, ecc. Ho usato volutamente tutta una serie di tecniche (per noi grandi ormai note, ma una scoperta per i bambini abituati alla comoda identificazione Teatro/TV), dall’azione contemporanea palcoscenico-platea, alla platea divisa in “campi di recitazione” contemporanei; inoltre, eliminate le tentazioni illusionistiche, via le quinte, luci, elementi scenici, scambi a vista, apporti fonici il più possibile diretti ( spesso sono le voci a “fare” un ambiente). E, infine, mostrare il lavoro teatrale come fatto comunitario attore-tecnico-spettatore con un rapporto di collaborazione continua; e gli attori giocano, cioè costruiscono le scene e si fanno lo spettacolo”.
In queste dichiarazione registiche, si possono rintracciare le premesse di quel “Teatro Ragazzi” – intelligente, civile, divertente e coinvolgente, come lo voleva Rodari – , che stava nascendo su parametri professionali e che diverrà più visibile nella seconda metà degli anni Settanta. Certo, ci sono state stagioni in cui le produzioni teatrali ispirate a Rodari erano più numerose e non possiamo che auspicare un maggior interesse delle compagnie verso questo autore ormai classico, con tutta la valenza positiva, e non ingessante, di questo attributo.
Vale la pena qui di ricordare che Gianni Rodari, ben prima di Pennac, è intervenuto in difesa del lettore e della lettura, nel saggio “Nove modi per insegnare ai ragazzi ad odiare la lettura” (1966), ora in “Scuola di fantasia” (Editori Riuniti, 1992).
E poiché anch’io sono tra quelli che hanno goduto della sua creatività e beneficiato della sua intelligenza, non posso che concludere questo mio intervento col gioco degli acrostici e dei limerick, che tanto lo affascinavano e che gli dedico con riconoscenza.
Gianni Rodari
Ha scritto la Grammatica della fantasia
In cui nuotano ancora previdenti
Insegnanti e Teatranti intelligenti
Quel fabulante d’un Rodari
Amico dei bambini e dei vocabolari!
F are F antasia
I ncontri I mmaginazione
A ttorno A ttori
B inomi B ambini
A artigianali A rte
Note
- Boero a p.269 cita: “Il Cacciafantastico. Viaggio nei paesi della fantasia”, percorso-gioco a cura di L. Mancini e C. De Simone del Laboratorio Centrobambini del Comune di Pistoia; “Ricordando Gianni Rodari” del gruppo “L’altra faccia” con Beppe Dati, cantautore fiorentino (1981); “Castello di carte” del gruppo “Teatro per Mestre” nella riduzione scenica di L. Russo (1982); “Il sole nero” adattamento teatrale di L. Codignola, E. Marcucci e T. Schirinzi, scene costumi di L. Luzzati, musiche di P. Ciarchi ( Reggio Emilia, 1981); “Favola in musica” di A. Gottardi ( da “Novelle fatte a macchina”) per coro di voci bianche, orchestra da camera e nastro magnetico, Reggio Emilia 1981; “Gelsomino nel paese dei bugiardi”, trasposizione per teatro di marionette, compagnia G. Colla (Milano 1986).
- “Punto e Virgola”, Assemblea Teatro di Torino con Gianni Bissaca, Francesco Cristino, Mauro Ginestrone, Loredana Perissinotto, Roberto Spagnol; scenografia e oggetti di Ottavio Coffano e allievi dell’Accademia Albertina di Torino; musiche di Rudi Bargioni e Luciano Ratti, suonate dal vivo al pianoforte da Livia Conte.
- Maria Luisa Bigiaretti in “La scuola anti trantran” racconta il rapporto con Rodari e i suoi alunni non solo per “La torta in cielo”. Il libro è stato pubblicato da Nuove Edizioni Romane nel 2006. Nel rivedere questo scritto, ho pensato di darne informazione aggiungendo anche di Pietro Greco “L’universo a dondolo. La scienza nell’opera di Rodari”, ed. Springer 2010.
- Locandina – Gianni Rodari. La fiaba come luogo di tutte le ipotesi
- Locandina – Gianni Rodari. La fiaba come luogo di tutte le ipotesi