Loredana Perissinotto
E cammina, cammina… Come nelle fiabe alla fine si arriva al “centro”, cioè al luogo – che sia caverna, palazzo o castello – dove si trova il “tesoro”. Ho scoperto un piccolo tesoro al centro del Parco Cultura Le Serre di Grugliasco, cittadina poco lontana da Torino, nella settecentesca villa Boriglione. “Piccolo” perché solo una minima parte del patrimonio dell’Istituto per i Beni Marionettistici e il Teatro Popolare è visibile al secondo piano della villa. Ad accogliermi un “GGG”, per restare nell’atmosfera fiabesca, elegante e sorridente che si chiama Alfonso Cipolla. Dietro a quel sorriso, una conoscenza mostruosa della storia del teatro di marionette, burattini, pupi, fantocci, ombre, e non solo. Così direbbe Fantozzi, ma l’aggettivo ha origine da monstrum che indica un fatto o fenomeno prodigioso e, quindi, maraviglioso. E la meraviglia mi accende lo sguardo e le orecchie, mentre Alfonso mi accompagna e racconta il perché Gianduja abbia un posto centrale.
A.-Il percorso espositivo non è organizzato per mostrare cimeli, quanto per sviluppare discorsi e per esemplificare in modo chiaro e inaspettato, la funzione sociale e politica dello spettacolo con marionette e burattini”. Gianduja è al centro per la tradizione marionettistica piemontese che, dalla fine del Settecento, documenta che le maggiori compagnie professionali provengono da questo territorio o ne accolgono la cultura, ma soprattutto per la sua strettissima connessione con la storia del nostro Risorgimento e la Storia patria.
La Storia patria? Già, proprio così e si accende il mio stupore di fronte a “La via Crucis di Gianduja”, quattordici rare incisioni che raccontano l’eccidio– una vera e propria strage di stato – avvenuto nel 1864 a seguito della Convenzione di Settembre stipulata tra il Regno d’Italia dei Savoia e Napoleone III, che di fatto imponeva il trasferimento della capitale da Torino e Firenze. Si può immaginare lo sconcerto tra le persone, affluite in massa dalle campagne a Torino capitale del regno, sicché il personaggio di Gianduja diventa il segno di un riscatto economico tutto da inventare, per fronteggiare la situazione venutasi a creare. In una sala vari oggetti e immagini lo documentano e pure un saggio “Gianduja, una riscoperta in corso” (Linea Teatrale 2003).
Le sorprese continuano in altre sale, ma l’invito che faccio è di scoprirle personalmente, con una visita all’Istituto in quel di Grugliasco, anche per chi ha programmato un tour a Torino.
L’Istituto fondato nel 2001 da Giovanni Moretti – anima del progetto e presidente fino alla sua morte – con Alfonso a dirigerlo, aveva l’obiettivo di superare l’ambito folcloristico in cui era caduto questo linguaggio, per ricollocarlo nella storia del teatro e della società a tutti gli effetti. Domando se lo sguardo suo e di Giovanni, aperto a una visione d’insieme dei vari fenomeni spettacolari in auge fino ai primi decenni del Novecento, intendesse così sottolineare il rapporto di circolarità esistente e ricco di scambi continui tra melodramma, balletto, teatro di prosa professionale e amatoriale, marionette e burattini.
Sì – risponde Alfonso – verso questo si sono indirizzati, fin da subito, gli studi sul grande repertorio trasversale ai vari generi di spettacolo: Don Giovanni, Genoveffa di Brabante, Guerrin Meschino, Il fornaretto di Venezia, Aida, o le grandi tragedie shakesperiane, come Macbeth e Otello, che si diffondono in Italia attraverso il melodramma e le marionette, più ancora che col teatro di prosa. Gli allestimenti che abbiamo effettuato non sono state operazioni archeologiche, quanto l’evocazione di un modo di concepire il teatro e di trasmetterne la memoria. Il fulcro di questi studi è la preziosa raccolta di manoscritti detenuta dall’Istituto: un corpus di circa cinquecento copioni, tra i più antichi a oggi pervenuti, che messo in rapporto con ricerche d’archivio finalizzate alla compilazione di cronologie sull’attività di spettacolo nel suo insieme, si è rivelato uno strumento vivo per un approfondimento del nostro passato e della nostra cultura attraverso la voce di un teatro testimone e protagonista del proprio tempo come quello a cui l’Istituto è dedicato.
Oggetto di mostre temporanee sono le molteplici collezioni qui conservate, a partire dalla vasta raccolta iconografica che comprende oltre duemila immagini dal Seicento ai giorni nostri, tra disegni, tavole originali, incisioni, litografie, manifesti, cartoline e stampe varie relative non solo a marionette e burattini, ma anche alle maschere, al carnevale, alle feste e allo spettacolo popolare in genere. Chiedo ad Alfonso di dirmi qualche altra curiosità che il visitatore può incontrare e lui sorride, fiero, perché come ha sottolineato più volte, le raccolte qui conservate sono uniche per qualità e in numero pure superiori ad altre europee.
A.- I “Teatri da camera” della prima metà dell’ottocento ai giorni nostri provenienti da mezza Europa, le grandi marionette a filo di area napoletana realizzate per eseguire numeri circensi e di varietà, le “Marionette d’artista”, i “Maestri del teatro di figura” contemporanei, la raccolta orientale, sudamericana e africana, senza dimenticare a Biblioteca con circa 15.000 volumi, oltre ai manoscritti, l’Archivio con oltre 2000 buste contenenti documenti vari relativi a compagnie e singoli artisti.
Dovrei chiedergli il legame tra queste forme di spettacolarità e il teatro per le giovani generazioni, ma so che la risposta è raccontata nel libro Intrecci (SEB 27, 2023), come conosco altre sue pubblicazioni: Storia delle marionette e dei burattini in Italia (Titivillus 2011), “Orchi, antropofaghi e macellai. Storie varie per bambini succulenti” (Tamburi di carta 2022), “Cadaveri e papere. Frammenti di un romanzo integrato (Tamburi di carta 2024).
Alfonso Cipolla, presidente di UNIMA Italia, apre l’Istituto alla domenica pomeriggio ed è lui ad accogliere i visitatori. Perché solo alla domenica? Perché non vi è altro personale e, sempre per motivi economici, nemmeno la possibilità di apertura standard per quanti interessati alla visita come alla ricerca, né all’orizzonte la possibilità della digitalizzazione. Che dire… un’altra “storia” all’italiana?!